L’art. 143 disciplina anche l’iter del procedimento di approvazione del piano paesaggistico: dalla stessa analisi della normativa emerge una difficoltà nello stabilire il confine delle competenze tra Stato e Regioni.

In linea generale la competenza spetta alla singola Regione ma si prevede anche la stipula di accordi di intesa tra Regioni e Ministero dei beni culturali per l’elaborazione dei piani: tale accordo fissa il termine di adozione del piano allo scadere del quale scatta un potere suppletivo dello Stato.

La normativa regionale che esclude tali accordi è stata valutata dalla giurisprudenza incostituzionale (Cort. Cost. 5.5.2006, n. 182)!

Tale normativa pone un problematica importante: se i vincoli devono considerarsi connaturati alle aree individuate e pertanto indeterminati escludendo allora ogni indennizzo privato oppure se devono piuttosto essere indennizzati poiché comprimono lo ius edificandi!!

In merito alla partecipazione dei privati interessati alla formazione dei piani la giurisprudenza più risalente ha affermato che il provvedimento di adozione del piano paesaggistico deve contenere almeno cenni sintetici alle osservazioni avanzate dai privati (Cons. Stato, sez. II, 17.5.1978, n. 925).

Le disposizioni in merito alla partecipazione degli enti locali al procedimento di formazione del piano prevedono:

  1. Pubblicazione del piano con affissione per tre mesi nell’albo dei Comuni interessati;
  2. Deposito di una copia del piano presso la segreteria del Comune interessato;
  3. Osservazioni nei tre mesi successivi alla pubblicazione e al deposito;
  4. Eventuali modifiche ed approvazione finale del piano.

I Comuni interessati possono influire sui piani paesaggistici anche attraverso i piani urbanistici imponendo vincoli più rigorosi o aggiuntivi a tutela di interessi culturali e ambientali: sussiste discrezionalità legislativa nel graduare le forme di partecipazione dei Comuni.

I Comuni anche durante la fase tecnica di adozione del piano paesaggistico possono presentare osservazioni!

Il nuovo codice dei beni culturali attribuisce alla pianificazione paesistica un ruolo preminente rispetto gli altri strumenti di pianificazione: i Comuni devono obbligatoriamente conformarsi alla pianificazione paesistica attraverso le direttive regionali (art. 145).

La giurisprudenza prevede tuttavia anche l’ipotesi contraria ovvero che con i piani regolatori si possano introdurre disposizioni più rigorose rispetto a quelle del piano paesistico (Cons. Stato, sez. IV, 26.9.2001, n. 5038).

Il piano paesistico è immediatamente imperativo e vincolante nei confronti dei privati prevedendo anche limiti rigorosi alla nuova edificazione.

I beni immobili privati qualificati come bellezze naturali costituiscono una categoria di interesse pubblico, pertanto tale qualifica è da considerarsi un aspetto connaturato ai beni stessi che va ad escludere un diritto all’indennizzo: ciò tuttavia non esclude la previsione, caso per caso, di disposizioni che vadano a prevedere dei ristori al titolare di un diritto sul bene immobile (Cass. civ., 19.11.98, n. 11713).

La dottrina è critica su tale impostazione poiché poco garantista per il privato ed individua come rimedio l’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento.

In ogni caso l’ente locale deve recepire le previsioni del piano paesistico attraverso le sue procedure interne (TAR Liguria, sez. 27.10.92, n. 389).

Vengono in ogni caso previste misure di salvaguardia di tipo speciale dall’art. 1 ter della L. 8.8.1985 n. 431 che consentono alle Regioni di identificare, all’interno delle zone sottoposte a vincolo paesaggistico, misure di salvaguardia: tali misure vengono meno nel momento in cui viene approvato il piano paesistico.


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